domenica 31 luglio 2011

L'informazione è potere e nel caso la si manipola.


Si, ok, non c’è più da stupirsi conoscendo il livello della stampa italiana: ormai prendendo in mano un giornale o guardando un TG bisogna essere in grado di capire il contesto di cui si sta parlando, metterlo in relazione alla tendenziosità degl’articoli precedenti della testata in esame ed eliminare il romanzato che tanto piace ai giornalisti d’oggi per poter sapere qualcosa di reale anche sulla più banale delle notizie.
Qualsiasi cosa deve fare notizia e qualunque fatto deve essere da prima pagina, sono sostanzialmente questi i traguardi che un giornalista senza pudore (credo la maggior parte) si pone e di conseguenza, soprattutto nei periodi di calma, abbiamo un’infinità di servizi sulle frivolezze di chi che sia o sull’ennesimo animaluccio abbandonato (se ve lo state chiedendo, si, i miei orari pasto coincidono con quelli di messa in onda di Studio Aperto): tutto raccontato senza sapere nulla del background, senza approfondire minimamente i fatti ma limitandosi ad ingigantire un po’ come si vuole facendo sì che dal nulla si crei un caso di stato manipolato a dovere.

Fatte le dovute precisazioni nella premessa, si è pronti a sentire ogni cosa quando un integralista cristiano norvegese fa una strage premeditata e studiata di concittadini in nome di chissà quali grandi ideali: ti aspetti attacchi alla chiesa, attacchi alla troppo pacifica Norvegia o ai problemi infantili dell’uomo; no, il giornalista fa di più, va a frugare nei dati del carnefice, cerca qualcosa che il pubblico può riconoscere e sul quale può imbastire un gran servizio che spieghi le ragioni del folle gesto, rielabora i dati in possesso e li tramuta in informazioni che non hanno più nessuna attinenza con l’origine ma sembrano di grande effetto. È così presto spiegato come mai le varie testate italiane abbiano partorito servizi in cui si esplicita per filo e per segno come i videogiochi incarnino il male e lo diffondono nei giovani; di come un Modern Warfare 2 ti addestrarti meglio del sergente di “Full Metal Jacket” e di come World of Warcraft possa farti sparire agli occhi indiscreti di amici e conoscenti.

Se così fosse c’è da essere terrorizzati dato che il primo è stato acquistato da circa 23 milioni di persone e il secondo ha un numero di giocatori attivi e non pressoché incalcolabile.  Ma studiando minimamente la statistica ti rendi conto che se hai un riscontro positivo su di una popolazione così grande vuol dire che probabilmente il fenomeno scatenante non è quello analizzato ma deve essere dovuto ad altre vicissitudini. Allora non facciamo come i giornalisti, adiamo più a fondo, analizziamo almeno un po’ la situazione: lo sparatutto di Infinity Ward è ben lungi dall’essere una simulazione in termini stretti dato che narra una storia estremamente coreografica e senza grandi nessi logici con fatti reali ma soprattutto dalla parte ludica ti fa sentire onnipotente perché con qualunque arma raderai al suolo un’infinità di persone e prenderai un sacco di pallottole senza mai morire o restare ferito (citando Duty Calls: “So real”). Il massivo online di Blizzard invece non può certo esser preso come un alibi dato che è facile essere contattati all’interno e si può vedere se il personaggio sta facendo qualcosa o è semplicemente fermo da qualche parte.

Recentemente un'importante sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti ha equiparato i videogiochi ad altri media come film, libri e tv dai quali fruiamo violenza da molto più tempo senza che ci siano mai stati casi accertati di contagio. Allora perché i videogiochi devono essere ancora trattati differentemente? “Perché sono un passatempo per bambini e questi ultimi non devono essere turbati”  risponderebbero i benpensanti; allora mettiamoci un’etichetta che indichi la fascia d’età adatta benché poi i genitori se ne freghino perché il loro tenero figlioccio vuole proprio quello, avendo poi la faccia tosta di lamentarsi nei forum perché “mio figlio di 8 anni si è lanciato dall’armadio credendo di essere Assassins’ Creed” senza rendersi conto che forse il problema risiede in loro e non in ciò che il figlio utilizza.

Cercando di venire a capo di tutto, lo scopo di quest’articolo scritto un po’ di getto e di gruppi come il “Movimento contro la disinformazione sui videogiochi” è di far capire che cosa vuol dire videogioco e videogiocare nella società odierna andando a togliere il pesante alone d’ignoranza in materia che annebbia la maggior parte delle menti italiane cercando di portare sullo stesso piano media differenti che spesso raccontano le stesse storie e si interfacciano con gli stessi utenti. In modo tale da non essere più costretti a sentire certe oscenità dalla stampa ed assicurare il giusto divertimento allo specifico utente finale.

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